Da due anni il Fiorenzuola lotta stabilmente per un posto nei playoff, e lo fa con un organico tra i più giovani della serie D. Gran parte del merito di tale successo va attribuito senza dubbio al suo direttore sportivo Simone Di Battista che ai microfoni di Saranno Famosi ci ha illustrato nel dettaglio il suo modo di operare: dalla visione di 20 partite al mese fino alla valorizzazione dei più giovani “da buttare nella mischia”.

Direttore, facciamo un primo bilancio della stagione del Fiorenzuola. A marzo siete in piena lotta playoff, un risultato pronosticato o piacevole sorpresa?

“Quello che mi ero prefissato ad inizio stagione era di dare continuità a quanto di buono fatto nello scorso campionato. Quando sono arrivato al Fiorenzuola la società era reduce da un periodo abbastanza difficile caratterizzato anche da qualche retrocessione. L’anno scorso siamo riusciti a centrare i playoff e l’obiettivo è quello di ripetersi nonostante il cambio di allenatore e la cessione di alcuni giocatori importanti. Per me avere continuità di risultati è fondamentale, solo così acquisisci credibilità. Altrimenti il successo di un’annata diventa un evento isolato, fuori dalla norma. Quest’anno siamo ripartiti scommettendo su alcuni giocatori che stanno confermando le aspettative e tra questi ci sono alcuni elementi che addirittura stanno facendo meglio di quanto pensassimo. Da sottolineare poi anche l’ottimo lavoro del tecnico. Per quanto riguarda i playoff ce la giocheremo fino alla fine insieme a Fanfulla e Crema. Mancano 8 giornate, vedremo chi riuscirà ad essere più costante e continuo”. 

L’età media della squadra è di 22 anni. Quanto è importante per lei avere un organico così giovane? 

”Sì, quest’anno la media è addirittura più bassa. Io credo che sia fondamentale avere una squadra giovane in serie D, anche per via degli obblighi legati ai cosiddetti “under”. Qui, rispetto ad altre categorie, tanti ragazzi di valore riescono a trovare spazio e mettere in luce le proprie qualità. Anche se bisogna ammettere che a volte queste leggi possono rivelarsi un’arma a doppio taglio per giocatori che appena passano tra i “grandi” non godono più di grande considerazione. Ma è proprio lavorando sulle fasce d’età appena fuori dalla regola dei giovani che si possono trovare calciatori di qualità con tanta voglia di dimostrare. In termini di esperienza magari può essere anche un rischio puntare molto sui giovani perché in certe partite i giocatori più navigati sanno gestire meglio le situazioni dal punto di vista mentale. Ma al di là di questo io credo molto nei giovani e penso si possa fare un gran lavoro con loro. Purtroppo la realtà generale è in contrapposizione con il mio pensiero, basti pensare che ai quarti di Champions League tra le otto squadre qualificate abbiano giocato solo 4 italiani. Due dei quali sono Chiellini e Bonucci, non proprio giovanissimi. E’ questo deve far riflettere. Ad oggi facciamo fatica produrre giocatori di un certo livello. A volte bisognerebbe prendere calciatori giovani e buttarli nella mischia, secondo me così facendo arriverebbero più soddisfazioni che delusioni”.

Considerando quella in corso lei è all’ottava stagione da direttore sportivo. Come si è avvicinata a questa professione?

“Ai tempi del Borgosesia io mi occupavo del settore giovanile, ho iniziato da allenatore per poi ricoprire il ruolo di responsabile. Quando poi nella stagione 2011/12 il direttore sportivo della prima squadra accettò l’offerta di un’altra società il presidente, con il quale ho un grandissimo rapporto, trovandosi un po’ spiazzato mi propose tale incarico. E tuttora lo ringrazio per la fiducia che ha riposto in me”.

Come svolge la sua settimana tipo?

“Mi divido tra il campo d’allenamento della squadra e quelli dove mi reco per assistere ad altre partite. Nel calcio come in tutti i lavori bisogna apprendere il più possibile da tutti anche per cercare nuovi spunti. La mia visione non è limitata alla categoria nella quale opero, anzi. A me piace osservare partite di tutte le categorie: dalla serie C alla Promozione, oltre che a quelle delle varie categorie giovanili dove si possono incontrare giocatori di grande prospettiva”.

Il poter osservare calciatori attraversi contenuti digitali (videoclip, ecc.) è un aiuto in più per chi svolge la sua professione o ritiene che il lavoro sul campo sia imprescindibile?

“La tecnologia se sfruttata nella giusta maniera può essere d’aiuto. Conosco degli addetti ai lavori fenomenali che attraverso i video riescono a carpire il potenziale del calciatore. Io, invece, preferisco il lavoro sul campo perché spesso nelle clip non si riescono a cogliere tante sfaccettature che invece dal vivo puoi notare con più facilità. Come ad esempio la postura, il posizionamento di un difensore quando la palla è lontana. Magari nei video riguardanti giocatori di serie A vengono sottolineati anche questi dettagli, cosa che però difficilmente accade in quelli dei calciatori di categorie inferiori. In generale poi io credo che un giocatore non lo si comprende a pieno fin quando non ci si ha a che fare nel quotidiano. E’ fondamentale capire come riesce ad adattarsi al contesto nel quale si trova. Nel calcio esistono tanti ragazzi con un grande potenziale che però in alcuni ambienti rendono meno di quanto potrebbero. E nel mio lavoro bisogna essere bravi proprio in questo, ovvero a capire quale tipologia di giocatore è adatta al proprio contesto”.

Mediamente a quante partite assiste in un mese?

“All’incirca una ventina. Poi ci sono magari dei mesi nei quali ne vedo anche di più ma la media è questa”.

Quali sono le qualità principali che un direttore sportivo deve avere?

“Prima di tutto bisogna essere un uomo di società, comprendere perfettamente la realtà nella quale si opera. Avere sì l’ambizione di crescere ma contestualizzata al posto in cui si è. Così facendo si riesce a valorizzare il proprio lavoro e a raggiungere gli obiettivi prefissati dalla società che investe su di te. La seconda qualità è ovviamente la competenza calcistica sia a livello tecnico ma anche e soprattutto mentale in relazione al calciatore. L’ultima ma forse la più importante è riuscire ad instaurare un rapporto di complicità con l’allenatore. La scelta del tecnico è fondamentale per un direttore sportivo perché è a lui che affidi il compito di trasformare il gruppo in squadra. Le due figure devono lavorare in simbiosi, l’allenatore deve sapere di poter contare sempre sul direttore sportivo che ha una funzione di collante tra lui e la squadra ma anche tra lui e la società”.

Concludendo, quali sono i suoi obiettivi futuri?

“Nel mio futuro ora c’è il Fiorenzuola. Poi è logico anche io ho delle grandi ambizioni, sarei un’ipocrita a dire il contrario. Tutti sognano grandi palcoscenici. Ma non c’è fretta, ora sono concentrato sul presente con l’obiettivo di far bene con questa società. Non nascondo, però, che mi attira l’idea di lavorare in un settore giovanile per fare qualcosa di importante e costruttivo. Inoltre mi piacerebbe anche un giorno potermi confrontare in realtà professionistiche”.