Visiona oltre 80 partite al mese, di cui almeno una ventina dal vivo, perché per sua stessa ammissione solo i video non bastano. Non ama definirsi un procuratore o un agente di calciatori, piuttosto un manager delle loro carriere, dalla ricerca della squadra, alle sponsorizzazioni, finanche alla vita privata. E poi ancora la lunga militanza nell’area scouting di diverse società prestigiose come Milan, Fiorentina e Sampdoria. La nostra redazione ha intervistato in esclusiva Alessandro Acri, che ci ha svelato anche il futuro di alcuni suoi assistiti.

Alessandro, partiamo dal campionato di Sadek, uno dei tuoi assistiti più interessanti…

«Youssef ha fatto un ottimo campionato nella Sanremese, si è comportato bene e ora vedremo il da farsi. Ha grandi qualità, soprattutto la testa e la serietà giusta. Diciamo che per lui sarebbe importante tentare uno step successivo, cerchiamo sempre di andare avanti di step in step, quindi anche se è presto per parlare di futuro, sicuramente cercheremo una chance nel professionismo».

C’è qualche altro talento che ti senti di segnalare?

«Sì, voglio fare un nome: Mihael Onisa, è un ragazzo rumeno classe 2000. Ora è nella primavera del Torino, ma è in prestito dall’Entella. E’ uno dei ragazzi che negli ultimi due anni ha giocato di più, si tratta di un play che gioca davanti alla difesa, piede mancino. Penso che possa fare una carriera a livelli alti, e quando dico alti intendo molto alti. Ha una splendida famiglia alle spalle che lo segue, lo considero un figlioccio, forse anche qualcosa di più, l’ho scoperto che era un ragazzino. Ora sarebbe importante per lui farsi le ossa in serie B, magari anche una ventina di partite, e poi magari tornare al Torino. Ha una comprensione del nostro calcio fuori dal comune».

Serietà, mentalità, vicinanza della famiglia. Sono questi i suoi punti cardine?

«Assolutamente sì, anche perché per me i veri talenti sono questi. Gente che ha voglia di imparare, che si impegna seriamente, che punta a crescere sotto ogni punto di vista. Questi sono i campioni che punto a valorizzare, anche perché in tanti anni un calciatore alla Messi, non l’ho mai visto, forse sarò stato sfortunato, ma sono questi i profili con i quali mi piace lavorare, devono avere questi valori. Tengo molto anche alla scuola, per i ragazzi che sono ancora minorenni…».

Quante partite visiona al mese? Quali sono gli aspetti cruciali del suo lavoro?

«Almeno una ventina, altre 60 le vedo in tv live. Non mi fido molto però dei video, per diversi motivi. Dal vivo si ha tutta un’altra percezione, spesso le telecamere non inquadrano un certo tipo di lavoro quando la palla è lontana, come si fa a valutare così un prospetto in fase di non possesso? Anche l’altro giorno, per esempio, visionavo un giovane che mi avevano detto fosse alto 1,80, ma visto da vicino ho notato che era almeno alto 1,85, c’è una bella differenza».

Quanto conta lo scouting?

«Beh tantissimo, ma c’è tutto un lavoro dietro, fatto di relazioni, di contatti, di una rete che ogni operatore dovrebbe ampliare. Nessun viaggio è fatto a vuoto, si impara e si apprende sempre qualcosa, e poi se da ogni viaggio si tornasse con una decina di calciatori da prendere, significherebbe lavorare per società che pretendono poco. Si deve puntare a una prima scrematura, e in questo caso servono i video, poi andare sul campo, fare esperienza diretta».

Lei è stato responsabile in passato dell’area scouting di società come il Milan, Sampdoria, Fiorentina. Che esperienze sono state e come mai ha deciso di mettersi in proprio?

«Esperienze molto positive, penso al Milan che negli ultimi anni ha fatto esordire calciatori che ha cresciuto in casa, come Donnarumma, Calabria, Locatelli, Cutrone. Sicuramente il compito è quello di cercare di anticipare i tempi, alcune società puntano ad acquistare un calciatore a 2 milioni di euro, pensando di fare un affare, muovendosi prima avrebbero potuti acquistarli a 70-100mila euro». 

Felice dell’arrivo di Mancini sulla panchina della Nazionale?

«Mancini è una manna dal cielo, lo dico senza mezzi termini. Specie per questo paese, che sotto tanti aspetti lavorativi, anche extra-calcistici reputo retrogrado. Ha avuto coraggio con Zaniolo, Kean, l’età media di una Nazionale deve essere intorno ai 23 anni, non ai 32. Manco l’avremmo potuto vincere mai il mondiale, almeno avremmo valorizzato i nostri giovani e tutto il movimento. Spesso non c’è un ricambio, e anche nell’area scouting vengono messi gli amici degli amici, probabilmente perché accettano meno soldi, o perché alcune società ci credono poco».

Come mai ha deciso di passare dallo scouting all’essere agente?

«Il lavoro sostanzialmente è simile, e ho capito che se lo facevo per alcuni club, potevo farlo benissimo anche per me. E’ fondamentale la lingua, penso ai tanti giovani che hanno fatto una buona scuola e che si approcciano a questo lavoro, la società straniera spesso si identifica con chi interloquisce. In ogni caso sono rimasto in contatto con diverse società, in alcune occasioni agisco per conto loro, in altre sono io a proporre loro alcuni profili». 

Chi reputa i suoi maestri, e quali società lavorano meglio sui giovani in Italia?

«Non voglio fare nomi per non mancare di rispetto alle altre, ma penso ci siano almeno un paio di società che hanno una marcia in più per quanto riguarda lo scouting. Sicuramente tra i maestri c’è Favini, l’Atalanta non si scopre certo oggi, ma sono anni che sforna giovani, quindi lui è un padre putativo per noi. Poi penso a Pierluigi Casiraghi, storica figura dell’Inter. Lui cercava qualche giocatore che gli facesse scattare la cosiddetta scintilla, un fenomeno. Quando ho iniziato a collaborare con lui, dopo 20 minuti andava al bar. “Ho già visto tutto”, diceva. Pazzesco. Basti pensare che i meriti del Triplete dell’Inter sono anche i suoi, (Casirgahi ha scoperto calciatori come Pandev e Balotelli tra gli altri, oltre ad aver avallato le operazioni Kovacic e Coutinho ndr). Purtroppo anche lui ci ha lasciato…».