Ha dovuto “sdoppiarsi” nel doppio ruolo di tecnico e direttore sportivo, iniziando in estate a costruire la squadra che avrebbe dovuto allenare, nel tentativo di portare il Lecco in serie C. Obiettivo raggiunto con largo anticipo per la truppa allenata da Marco Gaburro, navigato tecnico con alle spalle una profonda conoscenza della categoria, capace di allestire un gruppo che ha letteralmente ammazzato il girone A di serie D, risultando la prima squadra tra tutti i Dilettanti a tornare nel professionismo. Un record mica da poco

Mister, avete vinto il campionato ma continuate a macinare successi…

«Merito di un gruppo molto serio, non ho bisogno di dare spazio alle seconde linee, perché in effetti non ho vere e proprie seconde linee. Sono stati tutti protagonisti, quindi faccio qualche cambio ma non bisogna mai perdere la competitività».

Quanto fa piacere essere stati i primi in tutta la D a centrare la promozione?

«Sicuramente tanto, Avevo una sorta di ruolo all’inglese, da manager. Francamente pensavo a una squadra competitiva, ma non di certo da poter essere la prima a conquistare la promozione in serie C. Pensavo a inizio anno a tutte le piazze blasonate che c’erano nei vari gironi, aver raggiunto l’obiettivo sottolinea la bontà del gruppo in primis e poi del rendimento costante che abbiamo avuto nell’arco di tutto il campionato. Poi ogni girone è fatto a modo proprio, in alcuni ci sono due piazze importanti, come Como e Mantova, in altri no. A inizio anno è sempre molto difficile fare delle previsioni. Noi siamo partiti con una rosa di 11 over, eventualmente avevamo in mente di integrare la rosa in un secondo momento, andando a puntellarla dopo aver capito che tipo di campionato potevamo mettere in atto».

Come si è trovato in questo doppio ruolo?

«Beh sicuramente hai la possibilità di costruirti la squadra in base ai tuoi principi e alle tue esigenze, ma non è un ruolo che spero di ricoprire in futuro. In società venivano da anni poco felici dal punto di vista del mercato, l’idea è nata da un’esigenza reciproca, avevo curiosità di vedere come me la sarei cavata in questo ruolo. Ho portato quattro giocatori che erano con me, diciamo fedelissimi. Sono, Perez, Carboni, Capogna e Segato, anche se in realtà non tutti sono stati protagonisti, per via di alcuni problemi fisici. Solo Segato è sempre stato presente, ma in ogni caso è una categoria nella quale alleno da 14 anni, avevo una conoscenza pregressa soprattutto di questi gironi. Non è stato semplice, anche perché abbiamo effettuato una mini-rivoluzione rispetto allo scorso anno, sono rimasti in pochissimi elementi».

Nelle giovanili dell’Albinoleffe ha scoperto un certo Belotti…

«No, non l’ho scoperto, al limite l’ho allenato. Il merito è tutto suo, quando fai una scalata del genere dalla C alla A, ci sono tantissimi meriti dei ragazzi, della loro forza di volontà. Sono felice però di averlo ricollocato in attacco, perché prima faceva l’esterno di centrocampo. Penso che i numeri non mentano, ha lavorato tanto, considerando che in quella fascia di età non aveva un talento cristallino».

L’anno prossimo allenerà il Lecco in C?

«Vediamo, sicuramente c’è la volontà reciproca di base di restare qui, la cosa che mi preoccupa, più che la mia conferma, è il gruppo di persone che lavorerebbe eventualmente con me. Lecco è una piazza calda, non voglio fare una C tanto per, ma vorrei una squadra che possa far bene. A fine campionato parlerò con il presidente per capire il progetto, ancor prima che tecnico, che ha in mente. Certo è che la nostra struttura di base è buona, servirebbe sicuramente qualche rinforzo, ma non è assolutamente una squadra da rifondare».

Chi sono i giovani più validi che ha allenato nel corso di questa stagione?

«In rosa avevo a disposizione diversi giovani validi, penso al nostro portiere greco Safarikas, di ottima prospettiva. E penso anche a Marco Moleri, classe ’98. Credo sia un giocatore sul quale la società punterà anche l’anno prossimo, è un ragazzo di  Lecco».

Che tipo di calcio le piace proporre?

«Io ho sempre provato diverse situazioni, ma negli ultimi anni mi sono assestato sul 4-3-3, nei dilettanti è importante l’elasticità, non sempre i campi sono uguali, e non si può pensare di proporre sempre lo stesso tipo di calcio. Il mio calcio è in ogni caso un calcio aggressivo, verticale, mi è sempre piaciuto giocare questa maniera. Anche se tutti i modelli a livello teorico, sono buoni, contano poi l’applicazione e gli interpreti».

Qual è stato il momento in cui ha pensato di poter vincere il campionato?

«Che questa squadra potesse essere promossa in serie C l’ho pensato dall’inizio, la partita chiave però è quella con la Sanremese dell’andata. Vincendo ci siamo trovati a più 5 dopo lo scontro diretto, vantaggio importante, perché la Sanremese aveva avuto un passo impressionante, lì ho capito che ce l’avremmo fatta».

Chi sono i suoi modelli?

«Sono cresciuto studiando molto Malesani, non ho riferimento fissi. Penso a Sarri, Giampaolo, allenatori che provano a imporre il loro gioco. L’ironia scatenata sui social non è affatto bella nei confronti di Malesani, ha dato tantissimo al calcio italiano, sia come proposta di gioco che come titoli, e ha vinto con il Parma, non con la Juventus. Non è stato fortunatissimo nelle ultime annate, forse non ha trovato i progetti giusti, ma negli anni d’oro è stato un innovatore».

foto tratta dal sito ufficiale della società