Allenare anche il cervello. Per ottenere prestazioni di alto livello, conta soprattutto la testa. Sempre più negli ultimi anni si sta affermando la figura del mental coach, nonostante i primi anni di scetticismo. Solo questione di tempo, dicono gli addetti ai lavori. «Negli anni ’80 nessun atleta aveva un personal trainer che curasse la preparazione atletica con programmi individualizzati, oggi è la normalità anche per calciatori di Serie C o per ragazzi che militano nelle giovanili», afferma Andrea Ciccone, mental coach nato sotto la guida di uno dei più grandi esperti del settore, Roberto Civitarese. In un’intervista concessa ai microfoni di Saranno Famosi, Ciccone prova a fare luce sulla figura professionale dell’allenatore mentale, sull’area di lavoro e sulle metodologie utilizzate per tirare il fuori il 100% da ogni atleta.

Innanzitutto partiamo dall’inizio. Come è iniziata questa passione che si è poi tramutata in lavoro? 

«Nella mia vita ho sempre alimentato due grandi passioni: una per lo sport ed in particolare per il calcio e l’altra per il sociale, nella fattispecie sin dai 15/16 anni di età mi sono impegnato nell’Oratorio del mio paese come educatore giovanile e con varie attività di volontariato che avessero al centro sempre “il prossimo”. Quando nel 2012 incontrai Roberto Civitarese, che già da qualche anno svolgeva con successo la professione di Mental Coach di calciatori, vidi la concreta possibilità di unire in una professione queste due grandi passioni: aiutare i giovani nel mondo del calcio».

Come si è sviluppata questo tipo di professione negli anni? In passato c’era molto scetticismo, oggi invece questa figura è sempre più introdotta nel mondo dello sport…

«E’ verissimo quello che dici. Ricordo che quando iniziai a svolgere questa professione, oltre allo scetticismo generale, erano davvero poche le persone a sapere esattamente quale fosse il ruolo di un Mental Coach e ancora meno quelle in grado di comprenderne l’utilità. Il pensiero più diffuso era quello che il Mental Coach lavorasse solo con giocatori “con problemi”, che sarebbe un po’ come affermare che i personal trainer lavorano solo con giocatori infortunati. E’ chiaro che un atleta che sta affrontando un momento di difficoltà può trarre grandi benefici dal lavoro mirato fatto con un professionista che sia su di un’area mentale o fisica, ma è altrettanto evidente che lo stesso tipo di lavoro fatto per implementare, migliorare e accrescere le proprie abilità, può portare risultati ancora più efficaci. Oggi questo scoglio è in parte superato anche grazie allo sdoganamento della professione avvenuto da parte di molti calciatori i quali hanno dichiarato pubblicamente di lavorare con un Mental Coach, da De Silvestri a Jorginho, passando per Schick e Luis Alberto. Penso sia solo una questione di tempo, negli anni ’80 nessun atleta aveva un personal trainer che curasse la preparazione atletica con programmi individualizzati, oggi è la normalità anche per calciatori di Serie C o per ragazzi che militano nelle giovanili, sono convinto che sarà così anche per ciò che riguarda l’allenamento mentale. Sempre più atleti avranno una figura di riferimento che li aiuterà a sviluppare quest’area dal potenziale illimitato».

Che studi hai compiuto e come ti sei ritrovato a svolgere questa professione? 

«Nel 2012 mi ero appena laureato ed ero alla ricerca del mio “posto nel mondo”. In questo senso l’incontro con Roberto Civitarese è stato illuminante e mi ha aperto le porte di una professione che conoscevo marginalmente. Dopo un anno di formazione teorica e pratica dove ho appreso, proprio da Civitarese, le tecniche e la metodologia da lui utilizzata, ho iniziato un periodo di affiancamento dove ho perfezionato le mie abilità e nel 2013 ho iniziato a svolgere questa professione lavorando con i primi calciatori».

A proposito della collaborazione con Roberto Civitarese, è uno dei più famosi mental coach in Italia. Avete avuto rapporti lavorativi con calciatori di rilievo in serie A, con quali in particolare?

«La lista è davvero lunga! Citando i più noti: Borini, De Silvestri, Petagna, Saponara, Pavoletti, Babacar, Puggioni, Paloschi, Caldirola».

Su quali aspetti vi siete concentrati maggiormente, e che risultati avete ottenuto nei singoli casi specifici?

«I percorsi sono personalizzati e rispondono alle esigenze di ciascun calciatore che inevitabilmente sono diverse. Ogni calciatore, ma in linea generale ogni persona, filtra quello che succede ogni giorno, in ogni istante della propria vita attraverso un modello mentale, che le neuroscienze chiamano metamodello. Questo modello mentale può portare a risultati positivi o a risultati negativi. Il nostro compito è quello di lavorare, condizionare e modificare questo schema mentale affinché i calciatori ottengano i risultati che desiderano. Nei casi specifici dei giocatori sopracitati credo che i risultati siano noti a tutti: da chi è arrivato in top club, a chi ha conquistato la maglia della Nazionale, a chi è riuscito a far esplodere il proprio talento quando tutti davano per finito».

Come cambia l’approccio in base al tipo di calciatore con il quale inizi a lavorare? Età, categoria, settore giovanile o Serie A, cosa cambia?

«L’approccio cambia perché ogni calciatore, ma in questo caso preferirei dire uomo, ha delle peculiarità che lo rendono diverso dagli altri. Ha una sensibilità più o meno sviluppata, comunica attraverso dei canali sensoriali piuttosto che altri e di conseguenza cambia il modo di trasferimento dei concetti e delle tecniche di allenamento mentale. Tuttavia le situazioni che i calciatori si trovano ad affrontare sono le medesime, dal settore giovanile alla serie A. Dal mister che non dà fiducia, al “perché non gioco?” , al “vorrei fare di più”, la metodologia che porta al successo sempre la stessa».

Come funziona il tuo approccio? Quante volte vedi un calciatore, e in caso di distanza geografica si può lavorare anche su Skype? 

«Vedo un calciatore in base alle necessità ed in base alle tematiche da affrontare. Sicuramente in media ci si vede almeno una volta ogni 20-25 giorni ed inoltre si mantiene un rapporto quotidiano fatto di telefonate, contatti con WhatsApp o Skype per avere sempre un feedback sul percorso che si sta costruendo insieme e per assicurarsi che la rotta sia sempre quella che porta alla realizzazione dei propri obiettivi. Il rapporto fatto di incontri di persona è sicuramente quello più efficace tuttavia si possono prendere in considerazione anche sessioni di coaching fatte utilizzando Skype».

Che tipo di allenamenti sono previsti? 

«Il cervello si allena pensando. Cosa che siamo abituati a fare sempre di meno, trascinati nel vortice dei social e del web, dove si può ottenere tutto e subito con un click. Ovviamente per fare questo in maniera efficace e produttiva ci sono delle tecniche e degli strumenti precisi che fanno parte della metodologia che utilizzo, che nasce dalla decennale esperienza sul campo di Roberto Civitarese. Una metodologia che a breve sarà anche certificata scientificamente dall’Università che ha sperimentato, misurato e verificato come sia effettivamente possibile “muscolarizzare il cervello”, allenandolo per ottenere performance ottimali».

Dovessi citare il caso più eclatante, il lavoro mentale che più ti ha dato soddisfazioni, a chi pensi?

«Da quando ho iniziato a svolgere questa professione ho lavorato soprattutto con calciatori provenienti dal settore giovanile, e con grande orgoglio posso affermare che nel 100% dei casi, i ragazzi con cui lavoro/ho lavorato hanno fatto il salto tra i grandi diventando calciatori professionisti. Considerando che i dati dicono che solo il 5% riesce a compiere questo salto, sicuramente questa è una delle cose che mi da maggiori soddisfazioni a livello professionale. Ogni ragazzo con cui lavoro per me è speciale, ogni calciatore porta dentro di sé la propria storia fatta di sogni, impegno, scelte, ostacoli, momenti belli e meno belli. Per questo ogni risultato da una gioia e una soddisfazione speciale. Parafrasando Filippo Inzaghi che affermava che “il gol più bello che ho segnato è quello che ancora devo fare”, allo stesso modo sono convinto che il risultato più bello sia sempre il prossimo».

Quanto conta la sfera psicologica nelle grandi imprese sportive?

«Avete visto Cristiano Ronaldo nel ritorno degli ottavi di Champions League contro l’Atletico Madrid? La testa è tutto».