E’ uno dei tecnici più giovani dell’intero panorama calcistico nazionale. Daniele Galloppa, trainer del Santarcangelo ha fatto di necessità virtù, ha dovuto farlo per forza, dopo una carriera da calciatore interrotta troppo presto per una serie terribili di problemi fisici. A nemmeno 34 anni, così, arriva la scelta, non senza sofferenza. Passare in panchina, e provare a conquistare gli obiettivi che il campo non gli ha potuto dare in pieno. E’ partito dalla Serie D, dalla sua Romagna, dove si è stabilito con la moglie, l’ex centrocampista di Parma e Siena. E dopo aver metabolizzato, non senza fatica, l’addio al calcio giocato, ora l’allenatore romano vuole conquistare la salvezza con i suoi ragazzi.

Daniele, partiamo dall’inizio. Come è nata l’idea di allenare?

«Abbastanza casualmente (sorride). Ero ancora un giocatore, ero fuori rosa a Cremona e sono venuto qui, ho iniziato ad allenarmi, avrei fatto il calciatore. Poi c’è stata l’opportunità di allenare e così mi sono ritrovato in panchina, ho deciso di affrontare questa nuova sfida, non senza un pizzico di difficoltà».

Perché?

«Beh, è stato difficile metabolizzare l’addio al calcio giocato, ogni tanto ancora ci penso. Non sono ancora del tutto entrato nel ruolo di tecnico, ma ho preferito prendere questa strada. Troppi infortuni, troppi problemi, ti rendi conto che casomai non potrai più dare quello che potevi. Avevo ancora mercato, avevo tante offerte e potevo continuare a giocare a calcio volendo, ma non sarei stato lo stesso, o sarei dovuto scendere in realtà che non mi avrebbero esaltato».

Ora la sfida Santarcangelo è la salvezza. Obiettivo alla portata?

«Ci proveremo fino alla fine, fortunatamente nell’ultimo periodo abbiamo disputato tante buone prestazioni, che ci danno coraggio e ci infondono fiducia per il prosieguo del campionato, dopo una serie di partite negative. Nonostante tutto questi ragazzi stanno affrontando tante difficoltà, abbiamo 8-9 under titolari ogni domenica…».

Quanto incide la delicata situazione societaria, e che rapporti ha con il nuovo ds David Giubilato?

«Ci conoscevamo poco, ci siamo affrontati solo una volta quando eravamo calciatori (il dirigente è ex difensore di Napoli e Bologna tra le altre). Diciamo che lui ora è impegnato più in questioni burocratiche, sta provando a risolvere le problematiche relative alla società. Purtroppo il presidente l’anno scorso ha perso un po’ di entusiasmo, ci hanno tolto due punti a campionato finito che di fatto ci hanno condannato ai playout, poi persi, che ci hanno fatto retrocedere in serie D. Personalmente penso però che la forza economica ci sia, anzi ne sono sicuro. E penso che percepiremo gli stipendi che ancora non ci sono stati versati».

In carriera sei stato allenato da tanti tecnici di alto profilo, a chi ti ispiri maggiormente?

«Beh, sicuramente a Marco Giampaolo, specie per quanto riguarda la sua linea difensiva. Anche se non sono uno legato ai sistemi di gioco, quanto piuttosto ai principi, quelli sì. Abbiamo provato anche la difesa a 4, abbiamo interpretato diversi moduli, anche se ora abbiamo trovato la quadratura con la difesa a tre. Sarebbe una mancanza di rispetto fossilizzarsi su un solo schieramento tattico, ma come concetti e anche a livello umano, Giampaolo rimane un maestro. Così come Donadoni, altra persona dai grandi valori e ottimo tecnico».

Qual è il tuo ricordo più bello da calciatore?

«Facile, l’esordio in Nazionale. Ho ancora conservata la maglia, ma al di là è il ricordo che resta nel cuore per sempre, me lo porterò dietro. La maglia azzurra è la consacrazione del sogno di ogni bambino, quando sono entrato in campo ero emozionato, mi sentivo un ragazzino…».

In riferimento all’età media bassissima dei tuoi ragazzi, a che punto è il loro processo di crescita?

«Alcuni devono sicuramente crescere, migliorare sotto certi aspetti per fare un passo importante per la loro carriera. Non faccio nomi per non mancare di rispetto a nessuno, ma penso, anzi sono sicuro che se continueranno ad impegnarsi come stanno facendo, 4 o 5 elementi potranno approdare nel professionismo, e ambire a fare una carriera importante».

E per quanto riguarda invece la tua, di carriera, cosa vedi nel tuo futuro?

«Ci sono tanti punti interrogativi, fanno parte della vita. Mi auguro che dopo aver intrapreso questo ruolo, al di là dei risultati, possa lasciare qualcosa. Quello sarebbe il bello di questo mestiere, la mia squadra deve avere una precisa connotazione, si deve vedere che ho lasciato un’impronta, qualcosa di mio, di riconoscibile».

Chi la spunta nel girone F?

«Penso il Cesena. Anzi lo spero, perché viviamo lì, mia moglie è romagnola e anche se non nasco tifoso del Cesena mi farebbe piacere per la città. Un pubblico del genere, una piazza così, ma cosa c’entrano con la serie D? Nulla. Anche se i giochi non sono chiusi, il Matelica è lì. La scorsa settimana il Cesena ha perso, e loro hanno perso una grossa chance di accorciare ulteriormente, perché hanno pareggiato proprio contro di noi. Ci volevano ammazzare (ride, ndr), ma noi ci giochiamo la vita. E la salvezza. E’ stato un punto importantissimo, un’iniezione di fiducia per le prossime decisive gare».

foto tratta dal sito ufficiale del Santarcangelo